Ecosistema Rischio 2017

Ecosistema Rischio 2017

Legambiente presenta il monitoraggio sulle attività per la mitigazione del rischio idrogeologico nelle amministrazioni comunali

In Puglia ancora molti comuni presentano abitazioni e fabbricati industriali in aree a rischio idrogeologico e sono poche le delocalizzazioni

Il 75,6% delle amministrazioni ha recepito le perimetrazioni definite dai Piani di Assetto Idrogeologico nei propri piani urbanistici

L’83% dei comuni ha un Piano d’emergenza, ma solo il 61% lo ha aggiornato. Pochi i comuni che organizzano attività di informazione ed esercitazioni

Italia sempre più fragile e insicura, incurante dell’eccessivo consumo di suolo e del problema del dissesto idrogeologico mentre i cambiamenti climatici amplificano gli effetti di frane e alluvioni: dal 2010 al 2016, stando alle stime del CNR, le sole inondazioni hanno provocato nella Penisola la morte di oltre 145 persone e l’evacuazione di oltre 40mila. Da non trascurare anche i danni economici causati dal maltempo che, solo nell’ultimo triennio (2013-2016, fonte Italia Sicura), ammontano a circa 7,6 miliardi di euro; lo Stato, ad oggi, ha risposto stanziando circa il 10% di quanto necessario, 738 milioni di euro. A parlare chiaro sono i dati di Ecosistema Rischio 2017, l’indagine di Legambiente sulle attività nelle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico, realizzata sulla base delle risposte fornite da 1.462 amministrazioni comunali, corrispondenti al 20% dei comuni classificati ad elevata pericolosità idrogeologica (7.145 secondo l’ultima classificazione stilata dall’ISPRA nel 2015).

In Puglia sono solo 41 le amministrazioni comunali che hanno risposto al questionario di Ecosistema Rischio, circa il 18% dei comuni a rischio della regione (231 in totale, fonte Ispra) : Alessano, Altamura, Andrano, Aradeo, Bagnolo del Salento, Barletta, Bisceglie, Bitritto, Brindisi, Campi Salentina, Canosa di Puglia, Cassano delle Murge, Cisternino, Corato, Cutrofiano, Diso, Erchie, Grumo Appula, Lecce, Lesina, Leverano, Lizzanello, Manfredonia, Margherita di Savoia, Melendugno, Melpignano, Modugno, Mola di Bari, Monopoli, Montemesola, Noicattaro, Poggio Imperiale, Rutigliano, Ruvo di Puglia, Salice Salentino, San Marzano di San Giuseppe, San Pietro in Lama, Sanarica, Santeramo in Colle, Taurisano, Veglie.

Lecce è la provincia che ha risposto in maniera maggiore (17 comuni), seguita da Bari (12 comuni), con un notevole distacco dalle altre province: Bat (4 comuni), Brindisi e Foggia (3 comuni), Taranto (2 comuni).

“Anche in questa edizione di Ecosistema Rischio - dichiara Francesco Tarantini, presidente di Legambiente Puglia - emerge la scarsa propensione dei comuni pugliesi a rispondere al questionario, mentre sarebbe importante avere un quadro sempre aggiornato di conoscenza e mappatura della pericolosità su scala regionale, proprio al fine di prevenire e mitigare il rischio idrogeologico. Sono ancora molti i comuni che hanno abitazioni e fabbricati industriali in aree a rischio, ma pochissimi quelli che hanno intrapreso azioni di delocalizzazione per tutelare il territorio e ridurre i pericoli a cui sono esposti i cittadini e le attività produttive. Infine - continua Tarantini - per quanto riguarda l’organizzazione del sistema locale di protezione civile, dal dossier emerge che quasi tutti i comuni intervistati si sono dotati di un piano d’emergenza e lo hanno aggiornato, ma pochissimi organizzano attività d’informazione rivolte ai cittadini ed esercitazioni di protezione civile, che invece sono utili strumenti nell’affrontare l’emergenza garantendo la salvaguardia delle persone”.

Entrando nel merito dei dati pugliesi, si evince che nel 34,1% dei comuni pugliesi intervistati sono presenti abitazioni in aree a rischio idrogeologico, nel 26,8% interi quartieri, nel 36,6% attività produttive, nel 19,5% strutture commerciali e/o ricettive e nel 7,3% edificazioni nell'ultimo decennio.

Soltanto il 4,9% dei comuni ha intrapreso azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo e in nessun caso si è provveduto a delocalizzare insediamenti o fabbricati industriali. Le delocalizzazioni delle strutture presenti nelle aree esposte a maggiore pericolo e gli abbattimenti dei fabbricati abusivi rappresentano una delle principali azioni per rendere sicuro il territorio. Quasi la metà dei comuni (46,3%) ha dichiarato di svolgere regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria delle opere di difesa idraulica. Il 75,6% dei comuni ha recepito nel piano urbanistico le perimetrazioni contenute nel Piano per l’Assetto Idrogeologico al fine di stabilire i vincoli all’edificazione delle zone a rischio.

Migliore è la situazione per quanto riguarda l’organizzazione del sistema locale di protezione civile, fondamentale per salvare la popolazione ad evento già in corso. L’82,9% dei comuni si è dotato di un piano d’emergenza (il 61% lo ha aggiornato negli ultimi due anni), mentre pochi sono ancora i comuni che organizzano le attività informative (22%) e le esercitazioni (17,1%), fondamentali visto che i piani d’emergenza, per essere realmente efficaci, devono essere conosciuti dalla popolazione. Pochi, inoltre, i comuni che hanno predisposto sistemi di monitoraggio e allerta: sono soltanto il 29,3%.

“Le amministrazioni comunali conclude Tarantini hanno un ruolo strategico e determinante nelle attività legate alla gestione del territorio, quali la pianificazione urbanistica, gli interventi di delocalizzazione di abitazioni e di altri fabbricati dalle aree a rischio, l’adeguamento alle norme di salvaguardia dettate dalla pianificazione di bacino e la corretta manutenzione del territorio. Tutte attività che, se adeguatamente pianificate e supportate, porterebbero a una riduzione reale del rischio idrogeologico”.


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